Home page
   mercoledì 24 aprile 2024  Fai diventare questo sito la tua Home Page Aggiungi questo sito tra i tuoi preferiti Contattaci Ricerca    


Torna alla home page > Documenti > Pre-Capitolari > lettera circolare annuncio

lettera circolare annuncio

  Roma, 12 dicembre 1998

Roma, 15 maggio 2005

Prot. N. 0200/05

 

 

 

La Pentecoste di San Giovanni di Dio

 

 

 

A tutto l’Ordine

 

 

1.         Ambito di riferimento

 

 

Carissimi Confratelli,

 

Oggi termina il tempo di Pasqua. Celebriamo il giorno della Pentecoste, che ricorda il momento in cui, dopo la Resurrezione e l’Ascensione del Signore, i discepoli riuniti in preghiera con Maria vissero la presenza dello Spirito, sentendosi trasformati, e la loro vita si riempì della forza elargita dal Signore, datore della vita.

 

Riempirsi di Spirito Santo significò per loro farsi spirituali, sentirsi pieni di Lui, arricchiti dai suoi doni, dalla sua pace e serenità, dalla sua sapienza e dalla sua forza.

 

Si sentirono trasformati e inviati a continuare l’opera di Salvezza che da sempre il Padre aveva voluto per l’umanità e che il Figlio aveva realizzato con la sua vita, morte e risurrezione. L’opera redentrice, a partire dalla Pentecoste, si concretizza con la nascita della Chiesa, quando lo Spirito promesso da Gesù discese sugli Apostoli e sulla Vergine Maria, costituendo così il nuovo Popolo di Dio.

 

Quell’avvenimento vissuto a Gerusalemme dal collegio apostolico ha seguito un processo che accompagna la storia della Chiesa attraverso 2000 anni, adempiendo così alla promessa di Gesù: "“Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo"(Mt. 28, 20). Questa presenza del Signore risorto si è realizzata attraverso lo Spirito Santo.

 

Sono molti i riferimenti che facciamo costantemente allo Spirito, che promuove l’apertura nella Chiesa, aiutandola a leggere i segni dei tempi e ad illuminare i passi che il nostro mondo deve compiere nelle diverse realtà: “Lo Spirito soffia quando vuole e dove vuole”.

 

La Liturgia di oggi ci fa ricordare l’esperienza di questa prima presenza dello Spirito, tanto viva, tanto dinamica, tanto efficace.

 

 

2.         Riconoscimento a Giovanni Paolo II, nell’inizio del Papato di Benedetto XVI

 

Giovanni Paolo II, il grande Papa che abbiamo avuto vicino a noi negli ultimi 26 anni, è stato un dono immenso per la Chiesa e per l’umanità.  

 

Durante il suo Pontificato non sempre i commenti sulla sua personalità sono stati positivi, ma la sua morte ha suscitato vasta commozione e tantissime persone, per non dire tutti, ne hanno riconosciuto il valore.

 

La Chiesa ha perso un’importante guida spirituale, con idee molto chiare, un grande evangelizzatore, vicino alle culture e ai popoli, combattente infaticabile, convinto che quanto stava realizzando era ciò di cui la Chiesa e il mondo intero avevano bisogno.

 

Abbiamo avuto un Papa che ha sofferto, che ha meditato, umanamente e teologicamente, sulla sofferenza, un Papa che nella sua decisione di rimanere fino alla morte al servizio della Chiesa si è mostrato fragile, che ha assunto totalmente la propria morte, e ci ha lasciato come ultimo messaggio ciò che ci aveva detto tante volte durante il suo Pontificato: “Non abbiate paura! Aprite, anzi spalancate, le porte a Cristo!”.

 

L’elezione di Benedetto XVI è stata accolta con sorpresa, anche se tra i ‘papabili’ compariva il suo nome.  La sua responsabilità come Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, alla quale ha dedicato 23 anni della propria vita, gli ha permesso di realizzare un importante servizio teologico e pastorale alla Chiesa, meno visibile in quanto ad attuazione in prima persona, se paragonata con la figura di Pastore universale della Chiesa.

 

Attraverso i libri che ultimamente sono stati pubblicati e che stiamo ‘divorando’ per cercare di approfondire il suo pensiero, riusciamo a conoscere meglio il suo aspetto teologico, ma Benedetto XVI si sta mostrando ai nostri occhi come un vero Pastore della Chiesa, e la sua personalità e l’acutezza del suo pensiero si manifestano nelle sue omelie, molto realistiche e decise. Lo sentiamo vicino a noi come Vicario di Cristo attraverso i suoi gesti, e conoscendo aspetti della sua vita personale che ci permettono di apprezzarlo e di amarlo nella sua interezza.

 

Il suo modo di presentarsi, chiedendo ai fedeli di pregare per sostenerlo in questo difficile compito, e dichiarando con umiltà che non sarà da solo a governare e a guidare la Chiesa, ma che desidera ascoltare e lasciarsi illuminare dalla gente, è un’impostazione che ci ha sorpresi favorevolmente e che è piaciuta a tutti.

 

Nella solennità di Pentecoste possiamo affermare che questi due avvenimenti hanno fatto vibrare la Chiesa come non avveniva da molto tempo, e che le stanno facendo vivere un’esperienza di Pentecoste che ebbe il suo inizio con la presenza dello Spirito nel collegio apostolico e nelle prime comunità cristiane, con i loro problemi di vita quotidiana, che conosciamo grazie al libro degli Atti degli Apostoli e alle lettere di San Paolo. Queste comunità dei primi inizi della Chiesa dimostrarono profondamente, con la loro fede e il loro modo di vivere il vangelo, che lo Spirito Santo era vivo e agiva in loro stessi.

 

 

3.         Ricordiamo la Pentecoste di San Giovanni di Dio

 

Nella mia vita di Fatebenefratello ho dedicato molto tempo al governo e all’animazione dell’Ordine, prima nell’ambito della mia Provincia e poi nella Curia Generalizia. Saranno trent’anni al termine di questo sessennio.

 

Con il trascorrere degli anni è andata maturando in me la necessità di vivere ogni giorno vicino a San Giovanni di Dio, dedicando momenti della giornata proprio a stare con lui, a pregare con lui, a meditare sulla sua biografia o sulla sua parola, che ci ha lasciato impressa nelle Lettere. Gli ultimi lavori che sono stati pubblicati in lingua spagnola sul nostro Padre mi hanno aiutato molto in questo senso.

 

Ho cercato di identificarmi con lui, come nostro Fondatore, in ciò che ci manifesta Cristo in chiave di carisma.  La sua vita fu sempre una grande Pentecoste.

 

Vorrei ricordare alcuni elementi che ritroviamo nei capitoli VII, VIII e IX della biografia di Francisco de Castro, quando si parla dell’inquietudine  vissuta da Giovanni di Dio nella ricerca della propria vocazione, del momento della conversone e della esperienza che ne seguì, manifestata come la sua Pentecoste.  Lo faccio con l’auspicio che ci aiuti a vivere la nostra Pentecoste, quella che la Chiesa necessita da noi, la Pentecoste che la società moderna esige da noi.

 

Vi segnalo sei punti della Pentecoste di San Giovanni di Dio, affinché ci aiutino a vivere la nostra Pentecoste:

 

           “Essendo il buon Giovanni di Dio tutto preso dal suo lavoro, il Signore si ricordò di lui, rivolgendo i suoi occhi di misericordia sopra di lui e facendolo giusto e dispensiere dei suoi poveri”.

 

Il Signore agì nei confronti di Giovanni con grande forza, attraverso la sua grazia, la sua gratuità, la sua misericordia, agendo per la sua trasformazione, facendolo giusto e dispensiere dei suoi poveri. Perché il Signore volse il suo sguardo su di lui? Il testo afferma che era distratto, ma una lettura della biografia forse potrebbe portarci alla conclusione che Giovanni di Dio in quel momento pensava ad altro, oppure possiamo vederlo con una grande inquietudine per cercare di fare la volontà del Signore.

 

La verità è che Dio agì nei suoi confronti in modo debordante. Realmente rivolse su di lui i suoi occhi di misericordia, facendolo giusto con tutto ciò che comporta in termini di santità, di coerenza e di autenticità, e lo fece veramente dispensiere dei suoi poveri, nella dedizione totale ad essi con grande generosità.

 

 

           Avvenne durante la predicazione del Maestro Avila, eccellente uomo, maestro in teologia, luce e splendore di santità. Da quell’ora lo prendeva per padre suo e profeta del Signore, mettendosi sotto la sua protezione e la sua guida.

 

La sua Pentecoste, dopo essere stato preparato, avvenne attraverso uno strumento molto adeguato. E’ difficile che Dio ci faccia vedere le cose direttamente. Normalmente lo fa attraverso i suoi strumenti: le situazioni, i segni dei tempi, le persone con le quali viviamo.

 

In questo caso lo strumento appropriato, come narra Francisco de Castro, fu il maestro Avila, eccellente uomo, maestro in teologia, luce e splendore, esempio di santità, uomo prudente, che lo accoglie e lo accompagna come padre e profeta del Signore.

 

Affinché anche noi oggi riceviamo la nostra Pentecoste, dobbiamo coltivare l’autostima, apprezzarci per ciò che siamo, ma è necessario comprendere che possiamo trarre grande aiuto dagli strumenti, dalle persone con le quali condividere e dalle quali imparare, che possono guidarci, senza che per questo arriviamo a perdere la nostra autonomia nel processo di orientamento e di ricerca.

 

Sarebbe bene che, a tal fine, cercassimo delle persone che si distinguessero per l’eccellenza nella loro vita, per essere maestri di vita, e che tutto ciò si riflettesse nella loro saggezza e coerenza, nella loro maturità e santità, nella loro prudenza e nel loro coraggio. 

 

Dobbiamo essere accompagnati da qualcuno che ci guidi come un padre, che ci aiuti quando necessario ma che ci lasci soli quando vede che siamo cresciuti, seguendo sempre i nostri passi, anche se da lontano.

 

Abbiamo bisogno di una guida che sia un profeta, che intuisca i passi del Signore, che ci faccia progredire nell’essenzialità e nell’impegno verso i poveri e i bisognosi, che ci aiuti ad essere a nostra volta dei profeti, perché viceversa la nostra vita rimarrebbe nella banalità, nella mediocrità, e resterebbe disincarnata.

 

 

           Siccome il terreno della sua anima era sufficientemente disposto, la parola di Dio in essa fruttificò, e aiutato dalla grazia del Signore che diede vita a quelle parole, uscì di là, chiedendo ad alta voce misericordia a Dio.

 

Quante volte nella nostra vita abbiamo parlato della disponibilità interiore! Nell’Ordine ci sono persone giovani, mentre la grande maggioranza di noi ha già trascorso vari o molti anni nella vita consacrata.

 

Il libro sulla Spiritualità dell’Ordine, pubblicato di recente, presenta la nostra spiritualità come un cammino che bisogna percorrere proprio come fece San Giovanni di Dio, con il suo stesso stile e il suo stesso spirito. Da parte nostra, dobbiamo fare ogni sforzo in questo senso.

 

Il miracolo della vita spirituale avviene quando tutto il nostro essere è ben disposto, quando ogni mattina iniziamo la giornata volendo vivere la novità, quando facciamo fruttificare il seme della parola e delle altre parole attraverso le quali il Signore ci parla. La grazia corrobora questa azione. E’ vero che nella storia ci sono state persone o situazioni della vita spirituale in cui la forza della grazia è stata straordinaria e ha atterrato alcuni, come Paolo, ma non sempre succede così. Di solito avviene che la grazia fortifichi la disponibilità che c’è in noi.

 

Fu proprio in questo modo che le cose sono accadute nella vita di San Giovanni di Dio. E’ così che avviene anche in noi. Di fatto, quando vivremo la stessa esperienza di Giovanni di Dio, entreremo appieno nella ‘pazzia’ evangelica, vivremo realmente un’avventura illuminata, faremo in modo che la nostra vita sia profetica, riflesso autentico della carità che visse il nostro Fondatore e della quale siamo chiamati ad essere i seguaci.

 

 

           Si spogliò di ogni cosa, rimanendo senza capitale e privo di tutti i beni materiali, volendo, nudo, seguire Gesù Cristo nudo e il cammino dell’umiltà. Era consapevole di aver bisogno della misericordia di Dio (Cap. VII).

 

Tutti conoscevano la scarsezza di mezzi con cui Giovanni di Dio iniziò la sua opera. Donò i libri che aveva, e diede via anche gli indumenti che aveva, volendo seguire Gesù privo di tutto, seguendo così il cammino di umiltà e vivere povero tra i poveri.

 

Nella vita spirituale, nella vita della sequela di Cristo, non c’è altra strada da percorrere se non quella della semplicità, della vicinanza e dell’umiltà. Viviamo in un mondo che sembra invece essere incline a favorire altre cose.

 

Oggi possiamo usufruire dei mezzi che ci vengono offerti dal nostro ‘status’ di vita, che ci permettono di realizzare una buona preparazione per la realizzazione della nostra missione, ma non possiamo permettere che ciò coinvolga troppo il nostro essere, perché potrebbe venir meno l’opportunità di essere liberi di spirito, di saper prescindere dal superfluo e da ciò che non è necessario per vivere. Non possiamo non essere solidali con le necessità di coloro che ci sono accanto. Con il cuore di Giovanni di Dio, siamo chiamati se non a trovare una soluzione, almeno a condividere, a comprendere, ad essere solidali, ad essere vicini alle persone che soffrono.

 

Purtroppo, molte volte nel nostro cuore domina l’amor proprio, ci allontaniamo dalla vita semplice e dalle persone che soffrono, e senza rendercene conto ci inoltriamo per la strada della comodità e dell’imborghesimento, che distruggono la possibilità di realizzare una buona sequela di Cristo, secondo lo stile di San Giovanni di Dio.

 

Siamo chiamati a vivere la nuova Pentecoste come una realtà viva, come un’esperienza che dà impulso al nostro essere, che dà spazio alla presenza dello Spirito trasformatore, che ci muove alla completezza della nostra vita.

 

Con semplicità e umiltà, chiediamo al Signore che si realizzi in noi la Pentecoste, che ci aiuti a mantenere viva l’esperienza dello Spirito, che ci dia la forza per essere testimoni di Cristo nella società attuale, manifestando la grandezza che ebbe Giovanni di Dio quando, sotto l’impulso dello Spirito Santo e trasformato interiormente dall’amore misericordioso del Padre, si mise completamente al servizio degli altri con gli atteggiamenti del Buon Samaritano (cfr. Cost. 1).

 

Che, come è stato per lui, ci disponga a vivere pienamente la nostra vocazione ospedaliera, con gioia e soddisfazione.

 

 

           Era infiammato dalla grazia del Signore, e desiderava essere disprezzato da tutti. Soffriva tutto con molta pazienza e contentezza, come se fosse a una festa, col volto lieto.

 

Nella letteratura del Magistero della Chiesa spesso, attualmente, si fa uso di metafore, volendo giungere, attraverso il contenuto, al cuore di coloro che leggono per esserne illuminati e per una propria crescita umana e spirituale.

 

Anche Francisco de Castro fa uso di metafore quando scrive la biografia di San Giovanni di Dio. Uno di esse è quella in cui parla della sua situazione: “Era tutto infiammato della grazia del Signore, iniziando così il cammino dell’umiltà e vivendolo con pazienza e con contentezza, con una grande gioia interiore che manifestava con volto lieto”.

 

Leggendo questa affermazione, ci viene spontaneo esclamare: “Che grande Pentecoste visse Giovanni di Dio!”, e condividere la bellezza della descrizione del Castro. E’ impossibile non ammirare ciò che significò per San Giovanni di Dio il suo cammino di ospitalità e di umiltà, vissuto con tanto amore verso Dio e verso il prossimo, e con la gioia interiore manifestata anche all’esterno, come risultato di una vita dedicata totalmente agli altri.

 

Un termometro che ci permette di valutare la nostra Pentecoste, quella che abbiamo sperimentato il giorno in cui il Signore ci ha chiamati e che abbiamo la possibilità di sperimentare quotidianamente attraverso le nostre risposte, è proprio l’essere giunti a vivere con gioia interiore ed esteriore la nostra vita di Fatebenefratelli. Questo è il grande apostolato che siamo chiamati a realizzare nel nostro mondo: trasmettere la pace interiore, la gioia interiore a quanti ci circondano. Non bisogna forzare le cose; quando ci sono, la pace e la gioia interiore si effondono, sono contagiose, giungono al cuore degli altri anche se si trovano in situazioni di sofferenza o di emarginazione, molte delle quali sono veramente difficili.  Signore, facci vivere una nuova esperienza di Pentecoste, facendo sì che viviamo appieno l’ospitalità di San Giovanni di Dio!

 

 

           Condotto all’ospedale Reale di Granada si accorse della mancanza di umanità nei confronti dei malati (Cap. VIII). L’esperienza dell’ospedale fu lo strumento attraverso il quale il Signore gli parlò: “Gesù Cristo mi dia la grazia di avere io un ospedale, dove possa raccogliere i poveri abbandonati e privi della ragione, e servirli come desidero io” (Cap IX).

 

Tutti sappiamo come San Giovanni di Dio, durante l’esperienza vissuta nell’ospedale Reale, dove era stato ricoverato perché ritenuto pazzo, vide come venivano trattati i malati, e sperimentò su di sé lo stesso trattamento.

 

Questo elemento completò in lui l’esperienza della Pentecoste. Sin da qualche tempo voleva abbandonare il lavoro di pastore. Lo pensava già quando era ad Oropesa. Francisco de Castro ce lo presenta mentre, in piena inquietudine e ricerca, si trova a Siviglia, ancora una volta come pastore.  Intuiva dentro di sé una vocazione di servizio verso i bisognosi. Lo chiedeva in una fervente preghiera al suo ritorno in Spagna da Ceuta, e in seguito nell’ospedale Reale.

 

Il Signore, attraverso l’espressione di un’ospitalità negata, lo chiama a farsi lui stesso ospitalità vera, misericordiosa, umanizzata, quella ospitalità che scaturisce dal cuore di Cristo che muore per salvare l’umanità.

 

Inizia con le mani vuote, privo di tutto, umile, con una certa fama di squilibrato mentale, ma guidato da San Giovanni d’Avila e protetto dalla Vergine Maria cui si affida e che invoca sempre, e con uno stato di piena armonia, frutto dell’esperienza personale della Pentecoste. Intraprende così un cammino in cui non vacillerà mai, fino alla morte.

 

Casa Venegas, la Pescadería, Calle Lucena, Salita dei Gomérez, il progetto dell’ospedale dei Girolomini: tutti questi luoghi sono gli scenari che segnano il percorso della sua vita. In ciascuno di loro offriva ciò che poteva, ma ogni volta il numero di quanti godevano della sua ospitalità andava aumentando, così come la qualità dell’assistenza.

 

La sua Pentecoste gli conferì il grande dono con il quale lo Spirito lo arricchì, il carisma dell’ospitalità. Ospitalità che Giovanni condivise con i suoi primi compagni; con i collaboratori, alcuni dei quali salariati e molti altri volontari e benefattori; con tante persone che furono i destinatari specifici del suo carisma: poveri, malati, bambini, anziani, prostitute e tanti altri che si trovavano nel bisogno. Tutto simbolizza la grande varietà di apostolato che oggi l’Ordine porta avanti in tutto il mondo, nei 51 Paesi in cui siamo presenti.

 

Vorremmo che questo momento fosse per l’Ordine una nuova Pentecoste, che come Giovanni di Dio percorressimo un cammino di ospitalità secondo il suo stile, accrescendo la nostra sensibilità verso coloro che soffrono, e che vivessimo un percorso di semplicità e di saggia umiltà, cercando di essere ‘di Dio’ così come lo fu Giovanni, con la capacità di condividere il nostro essere e la nostra missione con i collaboratori, ed essere un faro in un mondo che cambia e che ha la sua verità, che però non può essere dissimile da quella del Vangelo.

 

La nostra Pentecoste deve portarci ad inserirci in un cammino di discernimento. Manca poco più di un anno al LXVI Capitolo Generale che celebreremo a Roma dal 2 al 22 ottobre del 2006. Abbiamo previsto una serie di attività per la sua preparazione, alcune delle quali sono già state avviate.

 

Questo anno dovrà essere per noi un periodo di discernimento. Partiamo da una grande esperienza, da una lunga tradizione. Chiediamo al Signore di aiutarci in questo discernimento, a prepararlo nel modo più adatto, a cercare di fare sempre e in tutto la Sua volontà, ed essere sempre aperti allo Spirito. Vogliamo seguire l’ospitalità di Giovanni di Dio. Vogliamo che durante questo anno in tutto l’Ordine si realizzi la preparazione del Capitolo, e che ciò avvenga con uno spirito di Pentecoste. In questo processo desideriamo coinvolgere tutti i Confratelli e, seppure in modi diversi, i nostri Collaboratori.

 

 

4.         Alcuni elementi della Pentecoste di San Giovanni di Dio

 

Nel programma di governo del sessennio, il Consiglio Generale ha deciso che, come Priore Generale, avrei scritto con una certa frequenza una lettera non troppo lunga su un determinato tema, evitando circolari troppo prolisse.

 

E’ stato ciò che ho fatto nel primo triennio, ma non nel secondo. Forse è aumentato il lavoro, forse non ho più la stessa agilità di prima. Ciò che è certo è che lo scorso anno non ho avuto il ritmo che mi era stato proposto nel programma a causa della celebrazione dei Capitoli Provinciali, e quest’anno a causa delle visite canoniche.

 

I temi proposti e che dovevano essere sviluppati, avevano tutti una certa incidenza nella nostra vita, ed ho voluto farlo sempre partendo da una prospettiva juandediana. Per questo motivo, mi accingo ora ad affrontare in due punti, come elementi fondanti della sua Pentecoste, i temi che erano rimasti in sospeso dall’anno scorso ad oggi.

 

 

4.1.     Opzione per le persone che soffrono

 

La nostra vita consacrata nasce dalla chiamata che ci è stata fatta dal Signore, che ci ha chiesto di seguirlo, nella Chiesa e nella società, lasciandoci guidare da Giovanni di Dio. In un modo o nell’altro, siamo arrivati a fare nostro il cammino del nostro Padre Fondatore.

 

Arricchiti dal dono dell’ospitalità, come Giovanni di Dio, abbiamo realizzato un’opzione per le persone che soffrono. La sofferenza è una delle realtà inerenti l’essere umano, che lo rendono finito e non infinito, che lo stesso Gesù di Nazaret assunse su di sé, e che pur attraversando, come sappiamo, momenti molto duri,  non eliminò ma che illuminò.

 

Detta opzione è essenziale per la nostra vocazione. Per questo ci consacriamo nella Chiesa con un voto specifico, quello dell’ospitalità. Le situazioni di emarginazione e di malattia, con la sofferenza che ciò comporta, costituiscono una grande povertà. Inoltre, il fatto di non possedere i mezzi per essere assistiti provoca una sofferenza persino maggiore.

 

La nostra visione dell’ospitalità oggi si è ampliata, e di molto. Nel nostro passato, c’è stato un tempo in cui, cercando di adempiere al nostro voto, ne abbiamo delimitato l’oggetto ai servizi fisici che potevamo offrire e non comprendevamo quelli spirituali, perché ci sembravano incommensurabili.

 

Oggi invece vediamo il nostro essere ospitalità con grande ricchezza: nel servizio, nell’azione pastorale, nell’ascolto, nell’accoglienza, nell’accompagnamento, nel condividere questa stessa ospitalità con i nostri collaboratori, ecc. Non a caso parliamo di assistenza integrale ai malati e ai bisognosi.

 

La nostra presenza attuale nella Chiesa, con l’universalità delle culture dei popoli in cui l’Ordine svolge il proprio operato, viene definita con un’opzione chiara e preferenziale per le persone che soffrono, privilegiando, nella misura del possibile, le più bisognose.

 

La Pentecoste che siamo chiamati a seguire vivendo, deve definire la nostra ospitalità con i criteri che erano ben presenti nel nostro Fondatore:

 

          Sensibilità

 

La vita di Giovanni di Dio si distingue per la sua sensibilità. La sua dedizione generosa comprende il fatto di voler accompagnare il processo di ogni persona. Ogni giorno, al suo arrivo, si recava a visitare tutti i malati. Si preoccupava di molte famiglie. Entrava nel groviglio della difficile vita di tante prostitute, preoccupandosi del loro reinserimento nella società.

 

Seguendo la logica del nostro tempo, la nostra vocazione esige oggi molta sensibilità. Nei confronti di particolari situazioni di emarginazione, bisogna saperlo fare perché il nostro servizio esige disciplina. E’ necessario sapersi comportare adeguatamente anche in particolari situazioni di malattia, per non cadere nel paternalismo, ma neanche per passarne lontano.

 

Nella sua storia, l’Ordine ha dimostrato sensibilità per molte situazioni di sofferenza, e continua a dimostrarlo ancora oggi.

 

La nostra Pentecoste deve aiutarci a crescere in sensibilità nei confronti delle persone che soffrono, ad aprire il nostro cuore, cercando di portare loro il calore e l’armonia, così come faceva Giovanni di Dio.

 

Posso dirvi che l’Ordine continua, con grande creatività, a promuovere servizi, tenendo conto delle nuove necessità che compaiono oggi nel mondo della malattia e dell’emarginazione. Giovanni di Dio ebbe nella sua intuizione una grande sensibilità. Chiediamo al Signore ci darci la stessa sensibilità per portare avanti il nostro operato.

 

          Criteri

 

Sin dall’inizio San Giovanni di Dio agì secondo dei criteri ben chiari. Voleva che la sua azione avesse una dimensione sociale e perciò che fosse orientata a persone bisognose. Voleva che avesse, nella misura del possibile, una dimensione evangelizzatrice. Voleva offrire a quanti accoglieva nella sua casa un piano di esecuzione che cercò di migliorare in quanto a spazi e modi di curare le persone. Voleva offrire un servizio di qualità, e da qui la classificazione che fece secondo la situazione del malato che giungeva al suo ospedale, affinché ciascuno avesse il suo letto e ricevesse la giusta attenzione. Preparò inoltre degli spazi per le persone che accoglieva soltanto per dormire.

 

Questi criteri appaiono in modo chiaro nella biografia di Francisco de Castro.

 

L’Ordine si è sempre preoccupato dei criteri secondo cui offrire assistenza. Abbiamo avuto delle persone che avevano le idee chiare al momento di stabilire dei criteri di attuazione. Abbiamo ricevuto molte richieste di nuove fondazioni che ci sono state presentate da governanti o vescovi, basate sull'esempio della nostra assistenza.

 

Tutto ciò ha permesso all’Ordine di avere una grande espansione sin dagli inizi della fondazione. Dopo la morte di Giovanni di Dio esisteva un solo ospedale da lui fondato a Granada (Spagna), ma sessanta anni dopo, l’Ordine era già presente in undici Paesi, sette in Europa e quattro in America.

 

Nel mondo moderno l’Ordine ha dedicato molti sforzi al tema dell’umanizzazione dell’assistenza, all’attenzione pastorale, alla bioetica, alla formazione, insegnamento e ricerca, all’approfondimento da parte dei Collaboratori dello stile di San Giovanni di Dio.

 

Proprio a ciò sono stati dedicati, a livello generale, i documenti pubblicati negli ultimi anni: Umanizzazione; Ospitalità dei Fatebenefratelli verso il 2000; Confratelli e Collaboratori uniti per servire e promuovere la vita; Giovanni di Dio continua a vivere nel tempo; la Carta d’Identità dell’Ordine; Il cammino di Ospitalità secondo lo stile di San Giovanni di Dio.

 

Si sono tenute anche molte iniziative a livello provinciale e locale: Regolamenti delle Istituzioni, Manuali di funzionamento, Comitati Direttivi, Piani strategici, Riviste, Forum, Masters, Regolamenti Etici, ecc.

 

Rendiamo grazie al Signore per quanto è stato dato come Pentecoste alla nostra vita e che continuerà ad esserci dato nel futuro.

 

          Espressione della carità di Cristo

 

La Pentecoste vissuta da Giovanni di Dio lo portò alla convinzione che la sua vita doveva essere dedicata, senza riserve, al servizio della carità di Cristo. La serenità che scaturiva da lui era la forza che lo spingeva ad esercitare la carità con tutti. Sono stati riportati molti aneddoti sulla sua vita, e tanti suoi pensieri sono stati raccolti nelle sue Lettere.

 

Tra gli altri, ne cito due che abbiamo considerato sempre molto significativi: “Se considerassimo quanto è grande la misericordia di Dio, non cesseremmo mai di fare il bene mentre possiamo farlo” (1DS 13), “Abbiate sempre carità , perché dove non c’è carità, non c’è Dio, anche se Dio è in ogni luogo” (LB 15).

 

La carità della Parola e la carità dei fatti devono integrarsi. Noi optiamo per la carità dei fatti, che però devono essere illuminati dalla carità della Parola, facendo della nostra vita una pagina evangelica.

 

Stiamo attraversando un periodo difficile. Il nostro apostolato ci mette in contatto con molte situazioni dure in cui le persone devono vivere. Non possiamo ignorare le sfide che ci pongono di fronte i sistemi sanitari nei diversi Paesi, difficili da affrontare per coloro che devono preoccuparsi della gestione e dell’amministrazione. Dobbiamo fare in modo però che le nostre azioni siamo sempre l’espressione della carità di Cristo, dell’immaginazione, della ‘fantasia della carità’, come ci aveva detto Giovanni Paolo II nel suo magistero. Dobbiamo fare in modo che la nostra vita sua una epifania della carità di Cristo.

 

Giovanni di Dio è stato definito come il fondatore dell’ospedale moderno. Nel suo tempo, ebbe la capacità di precorrere le esigenze e le necessità dell’ospitalità, con uno stile di servizio di qualità nell’assistenza, tenendo ben presente la centralità della persona, e la dimensione evangelizzatrice con la carità di Cristo, la visione etica della vita, la cultura corporativa con i collaboratori, ecc.

 

Queste espressioni sono proprie dell’epoca moderna, ma sono cose che a modo suo egli già mise in pratica all’epoca.  Oggi la sfida che dobbiamo affrontare è avere la capacità di impegnarci come Ordine con i principi che sono i presupposti per poter stare nella post-modernità con spirito evangelico, così come afferma la Carta d’Identità dell’Ordine.

 

 

4.2.           Responsabilità e libertà nel nostro essere ospitalità

 

Nella nostra vita avviene una crescita biologica, e una crescita del nostro essere personale.

 

Nella costruzione del nostro essere personale hanno un ruolo specifico gli elementi innati, ma ce ne sono altri che si formano poco a poco per l’influenza dell’ambiente in cui viviamo e infine ce ne sono altri che promuoviamo in funzione dei nostri interessi , dei nostri desideri e del nostro lavoro in funzione dell’ideale di vita che vogliamo arrivare ad incarnare.

 

Sviluppare il nostro essere comporta una maturazione della personalità, una crescita nella nostra dimensione umana e spirituale, giungere all’autonomia personale che comporta la sequela di Cristo, armonizzare il nostro essere per poter essere, in seguito, i testimoni di un’azione sanante che Cristo e Giovanni di Dio realizzarono nel loro tempo e che noi vogliamo realizzare oggi.

 

La nostra crescita è un processo alla conquista della nostra libertà di spirito, che ha come grande compagna di vita la responsabilità, che si discosta dal concetto di libertinaggio.  Qui è importante tenere conto del principio proposto da Sant’Agostino nelle Confessioni. “Ama e fai ciò che vuoi”.

 

Non è sempre facile riuscire ad incarnare questo binomio. Il vero processo è quello che ci porta a vivere nella libertà ma con responsabilità. In questo modo potremo sentirci sereni nella realizzazione della nostra vita, con maturità.  Rallegriamoci delle cose buone, assumiamo i conflitti che dobbiamo cercare di risolvere, nell’ambito del possibile. Viviamo, aiutiamo a vivere e lasciamo vivere gli altri.

 

La nostra consacrazione può essere definita come un cammino di libertà e di responsabilità. E’ stato definito da qualcuno come un cammino che indebolisce, che rende infantili, che deteriora. Di fatto, ci sono persone che per non aver avuto la capacità di realizzare questo processo di crescita, sembrerebbero convalidare queste affermazioni. Abbiamo però la testimonianza di tante persone che vivono nella piena interezza la fecondità della loro vita, con libertà e responsabilità.

 

Questa impostazione ci porta ad essere consapevoli del nostro modo di vivere e dei criteri che lo illuminano. Formando delle comunità, lavorando in gruppi e sotto la guida dei nostri Superiori, sentiamo che abbiamo lo spazio vitale necessario alla realizzazione della nostra libertà e della nostra responsabilità.

 

Molti di noi, come Confratelli, ci troviamo nell’età adulta, e non sempre possiamo realizzare certi lavori nell’ospitalità. Rendiamo grazie a Dio per quanto ha significato e continua a significare la nostra vita. Dobbiamo continuare a seguire l’esempio di libertà e responsabilità.

 

Tutti portiamo avanti il nostro lavoro, ma alcuni di noi sono in piena azione da un punto di vista operativo. Nei diversi servizi che stiamo realizzando nell’Ordine, siamo chiamati a viverli come possibilità di essere espressione di responsabilità e libertà. Abbiamo avuto molto tempo per crescere in questo binomio, per assumere le esigenze del nostro voto di obbedienza in ciò che significa seguire le direttive che ci vengono date, o avere la responsabilità di darle. In entrambi i casi abbiamo dovuto agire con libertà e responsabilità.

 

C’è poi un gruppo di Confratelli, che nel mondo occidentale è inferiore di numero ma che è più grande nelle cosiddette società più giovani, che  si trovano nel periodo formativo, nel periodo di integrazione progressiva nell’istituzione, di maturità della coscienza, e pertanto dei principi e degli atteggiamenti secondo i quali si muoveranno nel futuro e che necessitano di una illuminazione, che li porti a un’adeguata crescita personale per vivere in responsabilità e libertà.

 

Certe impostazioni normative sono buone, ma come dice San Paolo, deve esserci la pedagogia per aiutarci a maturare e a crescere nella libertà di spirito e nella responsabilità.

 

La nostra vocazione ci fa entrare in contatto con persone che vivono in situazioni drammatiche. Dobbiamo avere l’interezza e la luce necessarie per saper stare con loro in ogni momento, con comprensione e saggezza, sapendo rispettare i loro ritmi nelle loro possibilità di crescita, cercando di avvicinarle a Gesù Cristo.

 

Questo è un orientamento che ci serve sempre, specialmente in questo momento in cui ricordiamo la Pentecoste di San Giovanni di Dio e che vogliamo sia per noi una possibilità di Pentecoste nella preparazione e nella realizzazione del nostro prossimo Capitolo Generale.

 

Dobbiamo vivere questo periodo con grande spirito di fede, esortando ciascuno di noi e le nostre comunità alla preghiera, affinché sappiamo realizzare un buon discernimento, e proiettare in questo preciso momento storico la nostra vita per il futuro.

 

Attualmente stiamo orientando i nostri principi distinguendo due tematiche: la vita dei Confratelli e la missione.

 

In quanto alla missione, riceviamo ammirazione e ci giungono tante proposte per stabilire nuove presenze e ampliare i servizi già esistenti. Qualcosa accadrà, in noi e nei nostri collaboratori, che farà in modo che ciò diventi realtà. Bisognerà vedere.

 

Relativamente alla vita dei Confratelli, pensiamo alle nuove vocazioni, all’accompagnamento, al modo in cui le formiamo, alla capacità di avere in seguito l’adeguata realtà personale per vivere in libertà e responsabilità, senza abusare della libertà usando criteri troppo vasti o della responsabilità con criteri troppo rigidi.

 

Con questo spirito di libertà e responsabilità, oggi dobbiamo tenere ben presenti, anche nel nostro discernimento, le esigenze del Carisma e dell’Istituzione.

 

In alcune parti del mondo c’è stato un grande sviluppo del Carisma che stiamo portando avanti con una nuova forma di essere delle fondazioni e inoltre con la creazione di nuovi servizi.

 

Abbiamo percorso molta strada: i risultati sono stati tanti, e i punti deboli, grazie a Dio, sono stati di meno, ma purtroppo non possiamo smentirli.

 

La nostra preparazione al Capitolo e la sua celebrazione dovranno mettere in luce tutto ciò, e cercare di confermare quanto stiamo facendo oppure, se lo Spirito ci orienta in altro modo, cercare di delineare nuove linee di azione per il futuro.

 

Termino questo punto rivolgendo un appello a vivere ogni giorno la nostra vocazione. Con maggiore o minore protagonismo nell’ambito dell’Ordine, in età avanzata o ancora giovane, in ogni circostanza dobbiamo amare la nostra vocazione, ringraziare Dio per averci arricchiti con il dono dell’ospitalità e chiedere la Sua grazia per manifestare che Giovanni di Dio continua a vivere, e a testimoniare nel nostro mondo il Cristo misericordioso.

 

Non possiamo cadere nell’orgoglio, visto che all’inizio abbiamo detto che la Pentecoste di Giovanni di Dio comporta un cammino di umiltà. Ci obbliga a vivere con autostima il fatto di far parte dell’Ordine, in questo determinato momento storico. Allo stesso modo, dobbiamo riconoscere ed apprezzare la testimonianza di tanti Confratelli che lungo il corso degli anni hanno dedicato generosamente la propria vita all’ospitalità. Con la fede nella “comunione dei santi”, con spirito fraterno dobbiamo pregare per coloro che il Signore chiama, per associarli alla sua Pasqua.

 

Dobbiamo vivere con gioia, sentire il Signore e Giovanni di Dio vicini a noi. Dobbiamo vivere serenamente questo momento storico, che ci offre molte possibilità, ma anche certi pericoli, lungo il cammino dell’ospitalità, dell’umiltà, della libertà e della responsabilità.  Ci devono portare a vivere con saggezza il nostro discernimento e a dare, come fratelli di Giovanni di Dio, la risposta di cui il mondo ha bisogno.

 

Chiediamo al Signore che in quest’anno si realizzi in noi questa Pentecoste. Preghiamo affinché il Capitolo Generale sia il momento adeguato per prendere le decisioni più opportune e ci porti a vivere con speranza e con successo la realizzazione dell’ospitalità di San Giovanni di Dio.

 

 

5.         Celebrazione del LXVI Capitolo Generale

 

Dalla celebrazione dell’Incontro dei Superiori Maggiori, alcuni dei quali eletti per la prima volta ed altri rieletti in occasione dei capitoli provinciali sotto il titolo “Animare e Governare nell’Ordine”, possiamo affermare che abbiamo dato inizio, con le sue conclusioni, alla preparazione per il prossimo Capitolo Generale.

 

Alcune conclusioni di questo Incontro sono raccolte in un documento che è stato elaborato dai tre animatori: Fra José Bermejo, Fra Moisés Martín e dalla D.ssa Alessandra Massei, che già ci proiettavano verso il futuro.

 

Abbiamo intrapreso lo studio sulle nuove vocazioni, sulla formazione e integrazione nell’Ordine del quale, come sapete, è responsabile Fra Luis Aldana con un gruppo di Confratelli e di Consulenti. Siete già stati informati al riguardo con la lettera che abbiamo allegato ai questionari sulla formazione.

 

Dal 7 al 13 novembre 2005, si terrà a Granada il I Congresso dei Giovani Ospedalieri, confratelli e collaboratori, il cui tema centrale è l’Ospitalità che, oltre alla sua ricchezza, ci illuminerà sul settore più giovane dell’Ordine per il nostro futuro.

 

Abbiamo previsto di realizzare, all’inizio del 2006, i quattro incontri regionali per continenti, come tre anni fa, ai quali parteciperà lo stesso numero di confratelli e collaboratori, sempre con la stessa prospettiva di preparazione del capitolo.

 

Le date e i luoghi previsti sono:

 

America: Divinipolis, Brasile, 9-13 gennaio;

Africa: Lomé, Togo, 23-27 gennaio;

Asia Pacifico: Damyang, Corea, 20-24 febbraio;

Europa: Varsavia, Polonia, 3-7 aprile.

 

Consideriamo che con questi incontri e la documentazione che sarà prodotta avremo sufficiente materiale per la preparazione del Capitolo.

 

Il Capitolo Generale avrà luogo a Roma, nella Casa di Ospitalità dei PP. Salesiani, in via della Pisana n° 1080.

 

Il titolo che abbiamo scelto nell’ambito del Consiglio Generale, dopo aver presentato varie alternative, è: “Passione per l’Ospitalità di San Giovanni di Dio oggi nel mondo”.

 

Come animatore abbiamo pensato di nuovo ad un nostro Collaboratore, il Dr. Álvaro Díaz, colombiano, consulente di CIAL.OH e di SELARE.

 

Il Consiglio Generale ha nominato due Commissioni, una appositamente per la preparazione del Capitolo, formata dai Confratelli Donatus Forkan come Presidente e Luis M. Aldana, Fintan Brennan Withmore (Irlanda), Jesús Etayo (Spagna) e dai collaboratori Alvaro Díaz (Colombia), Salvino Leone (Italia) e Peter Költringer (Austria).

 

Abbiamo nominato un’altra Commissione, che si occuperà dell’aspetto logistico, formata dai Confratelli Emerich Steigerwald e José Luis Muñoz, e dai collaboratori Pietro Cacciarelli, Chiara Donati e Klaus Mutschlechner.

 

 

6.         Conclusione

 

Termino questa riflessione che ci apre al discernimento in questo cammino di preghiera e di riflessione che dobbiamo realizzare per la celebrazione del prossimo Capitolo Generale.

 

Iniziando dall’esperienza di Pentecoste di quest’anno e dall’analisi della Pentecoste che sperimentò San Giovanni di Dio, desideriamo sia la possibilità di vivere una nuova esperienza nello Spirito, che apra l’Ordine ad un futuro di speranza.

 

Gli avvenimenti che hanno riguardato tanto da vicino la Chiesa, con la morte di Giovanni Paolo II e l’elezione di Benedetto XVI, ci hanno fatto vivere momenti di grande religiosità, dubbi, aspettative, scoperta di realtà nuove.

 

Stiamo conoscendo la figura del nuovo Papa. Ultimamente ho letto un suo libro in italiano, dal titolo “La mia vita”. Vorrei terminare questa lettera presentandovi due suoi pensieri che ci lanciano verso il futuro. 

 

“La sola garanzia istituzionale non serve a nulla, se non ci sono le persone che la sostengono per convinzione personale” (Cap. II).

 

“Il dogma nella Chiesa non dev’essere sentito  come un vincolo esteriore, ma come la sorgente vitale, che rende possibili nuove conoscenze” (Cap. VI).

 

Il nostro Ordine ha bisogno della forza del carisma dei suoi componenti per creare il proprio futuro. Il nostro Ordine ha bisogno di persone piene di quella fonte di vita che rende possibile visioni nuove, nuovi cammini e nuovi orizzonti per l’ospitalità.

 

La Pentecoste di Giovanni di Dio lo portò a vivere un’avventura realmente illuminata. Auspico che abbiamo la capacità, in questo periodo di preparazione al Capitolo, di lanciarci in una nuova avventura, illuminati dallo Spirito Santo, per il bene dell’ospitalità di Giovanni di Dio nella storia, nella Chiesa, nella società.

 

Uniti sempre nel nostro Fondatore.

 



Torna alla pagina precedente
 Home page  
Sito Ufficiale Fatebenefratelli - Ver. 1.0 - Copyright © 2024 Fatebenefratelli - Powered by Soluzione-web