Roma, 15 maggio 2005
Prot. N. 0200/05
La
Pentecoste di San Giovanni di Dio
A
tutto l’Ordine
1. Ambito di riferimento
Carissimi Confratelli,
Oggi termina il tempo di Pasqua.
Celebriamo il giorno della Pentecoste, che ricorda il momento in cui, dopo la
Resurrezione e l’Ascensione del Signore, i discepoli riuniti in preghiera con
Maria vissero la presenza dello Spirito, sentendosi trasformati, e la loro vita
si riempì della forza elargita dal Signore, datore della vita.
Riempirsi di Spirito Santo significò
per loro farsi spirituali, sentirsi pieni di Lui, arricchiti dai suoi doni,
dalla sua pace e serenità, dalla sua sapienza e dalla sua forza.
Si sentirono trasformati e inviati a
continuare l’opera di Salvezza che da sempre il Padre aveva voluto per l’umanità e che il Figlio aveva realizzato con la sua vita, morte e risurrezione.
L’opera redentrice, a partire dalla Pentecoste, si concretizza con la nascita
della Chiesa, quando lo Spirito
promesso da Gesù discese sugli Apostoli e sulla Vergine Maria, costituendo così
il nuovo Popolo di Dio.
Quell’avvenimento vissuto a Gerusalemme
dal collegio apostolico ha seguito un processo che accompagna la storia della
Chiesa attraverso 2000 anni, adempiendo così alla promessa di Gesù:
"“Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo"(Mt.
28, 20). Questa presenza del Signore risorto si è realizzata attraverso lo
Spirito Santo.
Sono molti i riferimenti che facciamo
costantemente allo Spirito, che promuove l’apertura nella Chiesa, aiutandola a
leggere i segni dei tempi e ad illuminare i passi che il nostro mondo deve
compiere nelle diverse realtà: “Lo Spirito soffia quando vuole e dove vuole”.
La Liturgia di oggi ci fa ricordare
l’esperienza di questa prima presenza dello Spirito, tanto viva, tanto
dinamica, tanto efficace.
2. Riconoscimento
a Giovanni Paolo II, nell’inizio del Papato di Benedetto XVI
Giovanni Paolo II, il grande Papa che
abbiamo avuto vicino a noi negli ultimi 26 anni, è stato un dono immenso per la
Chiesa e per l’umanità.
Durante il suo Pontificato non sempre i
commenti sulla sua personalità sono stati positivi, ma la sua morte ha
suscitato vasta commozione e tantissime persone, per non dire tutti, ne hanno
riconosciuto il valore.
La Chiesa ha perso un’importante guida
spirituale, con idee molto chiare, un grande evangelizzatore, vicino alle
culture e ai popoli, combattente infaticabile, convinto che quanto stava
realizzando era ciò di cui la Chiesa e il mondo intero avevano bisogno.
Abbiamo avuto un Papa che ha sofferto,
che ha meditato, umanamente e teologicamente, sulla sofferenza, un Papa che
nella sua decisione di rimanere fino alla morte al servizio della Chiesa si è
mostrato fragile, che ha assunto totalmente la propria morte, e ci ha lasciato
come ultimo messaggio ciò che ci aveva detto tante volte durante il suo
Pontificato: “Non abbiate paura! Aprite, anzi spalancate, le porte a Cristo!”.
L’elezione di Benedetto XVI è stata
accolta con sorpresa, anche se tra i ‘papabili’ compariva il suo nome. La sua responsabilità come Prefetto della
Congregazione per la Dottrina della Fede, alla quale ha dedicato 23 anni della
propria vita, gli ha permesso di realizzare un importante servizio teologico e
pastorale alla Chiesa, meno visibile in quanto ad attuazione in prima persona,
se paragonata con la figura di Pastore universale della Chiesa.
Attraverso i libri che ultimamente sono
stati pubblicati e che stiamo ‘divorando’ per cercare di approfondire il suo
pensiero, riusciamo a conoscere meglio il suo aspetto teologico, ma Benedetto
XVI si sta mostrando ai nostri occhi come un vero Pastore della Chiesa, e la
sua personalità e l’acutezza del suo pensiero si manifestano nelle sue omelie,
molto realistiche e decise. Lo sentiamo vicino a noi come Vicario di Cristo
attraverso i suoi gesti, e conoscendo aspetti della sua vita personale che ci
permettono di apprezzarlo e di amarlo nella sua interezza.
Il suo modo di presentarsi, chiedendo
ai fedeli di pregare per sostenerlo in questo difficile compito, e dichiarando
con umiltà che non sarà da solo a governare e a guidare la Chiesa, ma che
desidera ascoltare e lasciarsi illuminare dalla gente, è un’impostazione che ci
ha sorpresi favorevolmente e che è piaciuta a tutti.
Nella solennità di Pentecoste possiamo
affermare che questi due avvenimenti hanno fatto vibrare la Chiesa come non
avveniva da molto tempo, e che le stanno facendo vivere un’esperienza di
Pentecoste che ebbe il suo inizio con la presenza dello Spirito nel collegio
apostolico e nelle prime comunità cristiane, con i loro problemi di vita
quotidiana, che conosciamo grazie al libro degli Atti degli Apostoli e alle
lettere di San Paolo. Queste comunità dei primi inizi della Chiesa dimostrarono
profondamente, con la loro fede e il loro modo di vivere il vangelo, che lo
Spirito Santo era vivo e agiva in loro stessi.
3. Ricordiamo la Pentecoste di San
Giovanni di Dio
Nella mia vita di Fatebenefratello ho
dedicato molto tempo al governo e all’animazione dell’Ordine, prima nell’ambito
della mia Provincia e poi nella Curia Generalizia. Saranno trent’anni al
termine di questo sessennio.
Con il trascorrere degli anni è andata
maturando in me la necessità di vivere ogni giorno vicino a San Giovanni di
Dio, dedicando momenti della giornata proprio a stare con lui, a pregare con
lui, a meditare sulla sua biografia o sulla sua parola, che ci ha lasciato
impressa nelle Lettere. Gli ultimi lavori che sono stati pubblicati in lingua
spagnola sul nostro Padre mi hanno aiutato molto in questo senso.
Ho cercato di identificarmi con lui,
come nostro Fondatore, in ciò che ci manifesta Cristo in chiave di
carisma. La sua vita fu sempre una
grande Pentecoste.
Vorrei ricordare alcuni elementi che
ritroviamo nei capitoli VII, VIII e IX della biografia di Francisco de Castro,
quando si parla dell’inquietudine
vissuta da Giovanni di Dio nella ricerca della propria vocazione, del
momento della conversone e della esperienza che ne seguì, manifestata come la
sua Pentecoste. Lo faccio con
l’auspicio che ci aiuti a vivere la nostra Pentecoste, quella che la Chiesa
necessita da noi, la Pentecoste che la società moderna esige da noi.
Vi segnalo sei punti della Pentecoste
di San Giovanni di Dio, affinché ci aiutino a vivere la nostra Pentecoste:
• “Essendo
il buon Giovanni di Dio tutto preso dal suo lavoro, il Signore si ricordò di
lui, rivolgendo i suoi occhi di misericordia sopra di lui e facendolo giusto e
dispensiere dei suoi poveri”.
Il Signore agì nei confronti di
Giovanni con grande forza, attraverso la sua grazia, la sua gratuità, la sua
misericordia, agendo per la sua trasformazione, facendolo giusto e dispensiere
dei suoi poveri. Perché il Signore volse il suo sguardo su di lui? Il testo
afferma che era distratto, ma una lettura della biografia forse potrebbe
portarci alla conclusione che Giovanni di Dio in quel momento pensava ad altro,
oppure possiamo vederlo con una grande inquietudine per cercare di fare la
volontà del Signore.
La verità è che Dio agì nei suoi
confronti in modo debordante. Realmente rivolse su di lui i suoi occhi di
misericordia, facendolo giusto con tutto ciò che comporta in termini di
santità, di coerenza e di autenticità, e lo fece veramente dispensiere dei suoi
poveri, nella dedizione totale ad essi con grande generosità.
• Avvenne durante la predicazione del
Maestro Avila, eccellente uomo, maestro in teologia, luce e splendore di
santità. Da quell’ora lo prendeva per padre suo e profeta del Signore,
mettendosi sotto la sua protezione e la sua guida.
La sua Pentecoste, dopo essere stato
preparato, avvenne attraverso uno strumento molto adeguato. E’ difficile che
Dio ci faccia vedere le cose direttamente. Normalmente lo fa attraverso i suoi
strumenti: le situazioni, i segni dei tempi, le persone con le quali viviamo.
In questo caso lo strumento appropriato,
come narra Francisco de Castro, fu il maestro Avila, eccellente uomo, maestro
in teologia, luce e splendore, esempio di santità, uomo prudente, che lo
accoglie e lo accompagna come padre e profeta del Signore.
Affinché anche noi oggi riceviamo la nostra
Pentecoste, dobbiamo coltivare l’autostima, apprezzarci per ciò che siamo, ma è
necessario comprendere che possiamo trarre grande aiuto dagli strumenti, dalle
persone con le quali condividere e dalle quali imparare, che possono guidarci,
senza che per questo arriviamo a perdere la nostra autonomia nel processo di
orientamento e di ricerca.
Sarebbe bene che, a tal fine,
cercassimo delle persone che si distinguessero per l’eccellenza nella loro
vita, per essere maestri di vita, e che tutto ciò si riflettesse nella loro
saggezza e coerenza, nella loro maturità e santità, nella loro prudenza e nel
loro coraggio.
Dobbiamo essere accompagnati da
qualcuno che ci guidi come un padre, che ci aiuti quando necessario ma che ci
lasci soli quando vede che siamo cresciuti, seguendo sempre i nostri passi,
anche se da lontano.
Abbiamo bisogno di una guida che sia un
profeta, che intuisca i passi del Signore, che ci faccia progredire
nell’essenzialità e nell’impegno verso i poveri e i bisognosi, che ci aiuti ad
essere a nostra volta dei profeti, perché viceversa la nostra vita rimarrebbe
nella banalità, nella mediocrità, e resterebbe disincarnata.
• Siccome
il terreno della sua anima era sufficientemente disposto, la parola di Dio in
essa fruttificò, e aiutato dalla grazia del Signore che diede vita a quelle
parole, uscì di là, chiedendo ad alta voce misericordia a Dio.
Quante volte nella nostra vita abbiamo
parlato della disponibilità interiore! Nell’Ordine ci sono persone giovani,
mentre la grande maggioranza di noi ha già trascorso vari o molti anni nella
vita consacrata.
Il libro sulla Spiritualità
dell’Ordine, pubblicato di recente, presenta la nostra spiritualità come un
cammino che bisogna percorrere proprio come fece San Giovanni di Dio, con il
suo stesso stile e il suo stesso spirito. Da parte nostra, dobbiamo fare ogni
sforzo in questo senso.
Il miracolo della vita spirituale
avviene quando tutto il nostro essere è ben disposto, quando ogni mattina
iniziamo la giornata volendo vivere la novità, quando facciamo fruttificare il
seme della parola e delle altre parole attraverso le quali il Signore ci parla.
La grazia corrobora questa azione. E’ vero che nella storia ci sono state
persone o situazioni della vita spirituale in cui la forza della grazia è stata
straordinaria e ha atterrato alcuni, come Paolo, ma non sempre succede così. Di
solito avviene che la grazia fortifichi la disponibilità che c’è in noi.
Fu proprio in questo modo che le cose
sono accadute nella vita di San Giovanni di Dio. E’ così che avviene anche in
noi. Di fatto, quando vivremo la stessa esperienza di Giovanni di Dio,
entreremo appieno nella ‘pazzia’ evangelica, vivremo realmente un’avventura
illuminata, faremo in modo che la nostra vita sia profetica, riflesso autentico
della carità che visse il nostro Fondatore e della quale siamo chiamati ad
essere i seguaci.
• Si
spogliò di ogni cosa, rimanendo senza capitale e privo di tutti i beni
materiali, volendo, nudo, seguire Gesù Cristo nudo e il cammino dell’umiltà.
Era consapevole di aver bisogno della misericordia di Dio (Cap. VII).
Tutti conoscevano la scarsezza di mezzi
con cui Giovanni di Dio iniziò la sua opera. Donò i libri che aveva, e diede
via anche gli indumenti che aveva, volendo seguire Gesù privo di tutto,
seguendo così il cammino di umiltà e vivere povero tra i poveri.
Nella vita spirituale, nella vita della
sequela di Cristo, non c’è altra strada da percorrere se non quella della
semplicità, della vicinanza e dell’umiltà. Viviamo in un mondo che sembra
invece essere incline a favorire altre cose.
Oggi possiamo usufruire dei mezzi che
ci vengono offerti dal nostro ‘status’ di vita, che ci permettono di realizzare
una buona preparazione per la realizzazione della nostra missione, ma non
possiamo permettere che ciò coinvolga troppo il nostro essere, perché potrebbe
venir meno l’opportunità di essere liberi di spirito, di saper prescindere dal
superfluo e da ciò che non è necessario per vivere. Non possiamo non essere
solidali con le necessità di coloro che ci sono accanto. Con il cuore di
Giovanni di Dio, siamo chiamati se non a trovare una soluzione, almeno a
condividere, a comprendere, ad essere solidali, ad essere vicini alle persone
che soffrono.
Purtroppo, molte volte nel nostro cuore
domina l’amor proprio, ci allontaniamo dalla vita semplice e dalle persone che
soffrono, e senza rendercene conto ci inoltriamo per la strada della comodità e
dell’imborghesimento, che distruggono la possibilità di realizzare una buona
sequela di Cristo, secondo lo stile di San Giovanni di Dio.
Siamo chiamati a vivere la nuova
Pentecoste come una realtà viva, come un’esperienza che dà impulso al nostro
essere, che dà spazio alla presenza dello Spirito trasformatore, che ci muove
alla completezza della nostra vita.
Con semplicità e umiltà, chiediamo al
Signore che si realizzi in noi la Pentecoste, che ci aiuti a mantenere viva
l’esperienza dello Spirito, che ci dia la forza per essere testimoni di Cristo
nella società attuale, manifestando la grandezza che ebbe Giovanni di Dio quando,
sotto l’impulso dello Spirito Santo e trasformato interiormente dall’amore
misericordioso del Padre, si mise completamente al servizio degli altri con gli
atteggiamenti del Buon Samaritano (cfr. Cost. 1).
Che, come è stato per lui, ci disponga
a vivere pienamente la nostra vocazione ospedaliera, con gioia e soddisfazione.
• Era
infiammato dalla grazia del Signore, e desiderava essere disprezzato da tutti.
Soffriva tutto con molta pazienza e contentezza, come se fosse a una festa, col
volto lieto.
Nella letteratura del Magistero della
Chiesa spesso, attualmente, si fa uso di metafore, volendo giungere, attraverso
il contenuto, al cuore di coloro che leggono per esserne illuminati e per una
propria crescita umana e spirituale.
Anche Francisco de Castro fa uso di
metafore quando scrive la biografia di San Giovanni di Dio. Uno di esse è
quella in cui parla della sua situazione: “Era tutto infiammato della grazia
del Signore, iniziando così il cammino dell’umiltà e vivendolo con pazienza e
con contentezza, con una grande gioia interiore che manifestava con volto
lieto”.
Leggendo questa affermazione, ci viene
spontaneo esclamare: “Che grande Pentecoste visse Giovanni di Dio!”, e
condividere la bellezza della descrizione del Castro. E’ impossibile non ammirare
ciò che significò per San Giovanni di Dio il suo cammino di ospitalità e di
umiltà, vissuto con tanto amore verso Dio e verso il prossimo, e con la gioia
interiore manifestata anche all’esterno, come risultato di una vita dedicata
totalmente agli altri.
Un termometro che ci permette di
valutare la nostra Pentecoste, quella che abbiamo sperimentato il giorno in cui
il Signore ci ha chiamati e che abbiamo la possibilità di sperimentare
quotidianamente attraverso le nostre risposte, è proprio l’essere giunti a
vivere con gioia interiore ed esteriore la nostra vita di Fatebenefratelli.
Questo è il grande apostolato che siamo chiamati a realizzare nel nostro mondo:
trasmettere la pace interiore, la gioia interiore a quanti ci circondano. Non
bisogna forzare le cose; quando ci sono, la pace e la gioia interiore si
effondono, sono contagiose, giungono al cuore degli altri anche se si trovano
in situazioni di sofferenza o di emarginazione, molte delle quali sono
veramente difficili. Signore, facci
vivere una nuova esperienza di Pentecoste, facendo sì che viviamo appieno
l’ospitalità di San Giovanni di Dio!
• Condotto
all’ospedale Reale di Granada si accorse della mancanza di umanità nei
confronti dei malati (Cap. VIII). L’esperienza dell’ospedale fu lo strumento
attraverso il quale il Signore gli parlò: “Gesù Cristo mi dia la grazia di
avere io un ospedale, dove possa raccogliere i poveri abbandonati e privi della
ragione, e servirli come desidero io” (Cap IX).
Tutti sappiamo come San Giovanni di
Dio, durante l’esperienza vissuta nell’ospedale Reale, dove era stato
ricoverato perché ritenuto pazzo, vide come venivano trattati i malati, e
sperimentò su di sé lo stesso trattamento.
Questo elemento completò in lui
l’esperienza della Pentecoste. Sin da qualche tempo voleva abbandonare il
lavoro di pastore. Lo pensava già quando era ad Oropesa. Francisco de Castro ce
lo presenta mentre, in piena inquietudine e ricerca, si trova a Siviglia,
ancora una volta come pastore. Intuiva
dentro di sé una vocazione di servizio verso i bisognosi. Lo chiedeva in una
fervente preghiera al suo ritorno in Spagna da Ceuta, e in seguito
nell’ospedale Reale.
Il Signore, attraverso l’espressione di
un’ospitalità negata, lo chiama a farsi lui stesso ospitalità vera,
misericordiosa, umanizzata, quella ospitalità che scaturisce dal cuore di
Cristo che muore per salvare l’umanità.
Inizia con le mani vuote, privo di
tutto, umile, con una certa fama di squilibrato mentale, ma guidato da San
Giovanni d’Avila e protetto dalla Vergine Maria cui si affida e che invoca
sempre, e con uno stato di piena armonia, frutto dell’esperienza personale
della Pentecoste. Intraprende così un cammino in cui non vacillerà mai, fino
alla morte.
Casa Venegas, la Pescadería, Calle
Lucena, Salita dei Gomérez, il progetto dell’ospedale dei Girolomini: tutti
questi luoghi sono gli scenari che segnano il percorso della sua vita. In
ciascuno di loro offriva ciò che poteva, ma ogni volta il numero di quanti
godevano della sua ospitalità andava aumentando, così come la qualità
dell’assistenza.
La sua Pentecoste gli conferì il grande
dono con il quale lo Spirito lo arricchì, il carisma dell’ospitalità.
Ospitalità che Giovanni condivise con i suoi primi compagni; con i
collaboratori, alcuni dei quali salariati e molti altri volontari e
benefattori; con tante persone che furono i destinatari specifici del suo
carisma: poveri, malati, bambini, anziani, prostitute e tanti altri che si
trovavano nel bisogno. Tutto simbolizza la grande varietà di apostolato che
oggi l’Ordine porta avanti in tutto il mondo, nei 51 Paesi in cui siamo
presenti.
Vorremmo che questo momento fosse per
l’Ordine una nuova Pentecoste, che come Giovanni di Dio percorressimo un
cammino di ospitalità secondo il suo stile, accrescendo la nostra sensibilità
verso coloro che soffrono, e che vivessimo un percorso di semplicità e di
saggia umiltà, cercando di essere ‘di Dio’ così come lo fu Giovanni, con la
capacità di condividere il nostro essere e la nostra missione con i
collaboratori, ed essere un faro in un mondo che cambia e che ha la sua verità,
che però non può essere dissimile da quella del Vangelo.
La nostra Pentecoste deve portarci ad
inserirci in un cammino di discernimento. Manca poco più di un anno al LXVI
Capitolo Generale che celebreremo a Roma dal 2 al 22 ottobre del 2006. Abbiamo
previsto una serie di attività per la sua preparazione, alcune delle quali sono
già state avviate.
Questo anno dovrà essere per noi un
periodo di discernimento. Partiamo da una grande esperienza, da una lunga tradizione.
Chiediamo al Signore di aiutarci in questo discernimento, a prepararlo nel modo
più adatto, a cercare di fare sempre e in tutto la Sua volontà, ed essere
sempre aperti allo Spirito. Vogliamo seguire l’ospitalità di Giovanni di Dio.
Vogliamo che durante questo anno in tutto l’Ordine si realizzi la preparazione
del Capitolo, e che ciò avvenga con uno spirito di Pentecoste. In questo
processo desideriamo coinvolgere tutti i Confratelli e, seppure in modi
diversi, i nostri Collaboratori.
4. Alcuni elementi della Pentecoste di San
Giovanni di Dio
Nel programma di governo del sessennio,
il Consiglio Generale ha deciso che, come Priore Generale, avrei scritto con
una certa frequenza una lettera non troppo lunga su un determinato tema,
evitando circolari troppo prolisse.
E’ stato ciò che ho fatto nel primo
triennio, ma non nel secondo. Forse è aumentato il lavoro, forse non ho più la
stessa agilità di prima. Ciò che è certo è che lo scorso anno non ho avuto il
ritmo che mi era stato proposto nel programma a causa della celebrazione dei
Capitoli Provinciali, e quest’anno a causa delle visite canoniche.
I temi proposti e che dovevano essere
sviluppati, avevano tutti una certa incidenza nella nostra vita, ed ho voluto
farlo sempre partendo da una prospettiva juandediana. Per questo motivo, mi
accingo ora ad affrontare in due punti, come elementi fondanti della sua
Pentecoste, i temi che erano rimasti in sospeso dall’anno scorso ad oggi.
4.1. Opzione per le persone che soffrono
La nostra vita consacrata nasce dalla
chiamata che ci è stata fatta dal Signore, che ci ha chiesto di seguirlo, nella
Chiesa e nella società, lasciandoci guidare da Giovanni di Dio. In un modo o
nell’altro, siamo arrivati a fare nostro il cammino del nostro Padre Fondatore.
Arricchiti dal dono dell’ospitalità,
come Giovanni di Dio, abbiamo realizzato un’opzione per le persone che
soffrono. La sofferenza è una delle realtà inerenti l’essere umano, che lo
rendono finito e non infinito, che lo stesso Gesù di Nazaret assunse su di sé,
e che pur attraversando, come sappiamo, momenti molto duri, non eliminò ma che illuminò.
Detta opzione è essenziale per la
nostra vocazione. Per questo ci consacriamo nella Chiesa con un voto specifico,
quello dell’ospitalità. Le situazioni di emarginazione e di malattia, con la
sofferenza che ciò comporta, costituiscono una grande povertà. Inoltre, il
fatto di non possedere i mezzi per essere assistiti provoca una sofferenza
persino maggiore.
La nostra visione dell’ospitalità oggi
si è ampliata, e di molto. Nel nostro passato, c’è stato un tempo in cui,
cercando di adempiere al nostro voto, ne abbiamo delimitato l’oggetto ai
servizi fisici che potevamo offrire e non comprendevamo quelli spirituali,
perché ci sembravano incommensurabili.
Oggi invece vediamo il nostro essere
ospitalità con grande ricchezza: nel servizio, nell’azione pastorale,
nell’ascolto, nell’accoglienza, nell’accompagnamento, nel condividere questa
stessa ospitalità con i nostri collaboratori, ecc. Non a caso parliamo di assistenza
integrale ai malati e ai bisognosi.
La nostra presenza attuale nella
Chiesa, con l’universalità delle culture dei popoli in cui l’Ordine svolge il
proprio operato, viene definita con un’opzione chiara e preferenziale per le
persone che soffrono, privilegiando, nella misura del possibile, le più
bisognose.
La Pentecoste che siamo chiamati a
seguire vivendo, deve definire la nostra ospitalità con i criteri che erano ben
presenti nel nostro Fondatore:
• Sensibilità
La vita di
Giovanni di Dio si distingue per la sua sensibilità. La sua dedizione generosa
comprende il fatto di voler accompagnare il processo di ogni persona. Ogni
giorno, al suo arrivo, si recava a visitare tutti i malati. Si preoccupava di
molte famiglie. Entrava nel groviglio della difficile vita di tante prostitute,
preoccupandosi del loro reinserimento nella società.
Seguendo la
logica del nostro tempo, la nostra vocazione esige oggi molta sensibilità. Nei
confronti di particolari situazioni di emarginazione, bisogna saperlo fare perché
il nostro servizio esige disciplina. E’ necessario sapersi comportare
adeguatamente anche in particolari situazioni di malattia, per non cadere nel
paternalismo, ma neanche per passarne lontano.
Nella sua
storia, l’Ordine ha dimostrato sensibilità per molte situazioni di sofferenza,
e continua a dimostrarlo ancora oggi.
La nostra
Pentecoste deve aiutarci a crescere in sensibilità nei confronti delle persone
che soffrono, ad aprire il nostro cuore, cercando di portare loro il calore e
l’armonia, così come faceva Giovanni di Dio.
Posso dirvi
che l’Ordine continua, con grande creatività, a promuovere servizi, tenendo
conto delle nuove necessità che compaiono oggi nel mondo della malattia e
dell’emarginazione. Giovanni di Dio ebbe nella sua intuizione una grande
sensibilità. Chiediamo al Signore ci darci la stessa sensibilità per portare
avanti il nostro operato.
• Criteri
Sin
dall’inizio San Giovanni di Dio agì secondo dei criteri ben chiari. Voleva che
la sua azione avesse una dimensione sociale e perciò che fosse orientata a
persone bisognose. Voleva che avesse, nella misura del possibile, una
dimensione evangelizzatrice. Voleva offrire a quanti accoglieva nella sua casa
un piano di esecuzione che cercò di migliorare in quanto a spazi e modi di curare
le persone. Voleva offrire un servizio di qualità, e da qui la classificazione
che fece secondo la situazione del malato che giungeva al suo ospedale,
affinché ciascuno avesse il suo letto e ricevesse la giusta attenzione. Preparò
inoltre degli spazi per le persone che accoglieva soltanto per dormire.
Questi criteri
appaiono in modo chiaro nella biografia di Francisco de Castro.
L’Ordine si è
sempre preoccupato dei criteri secondo cui offrire assistenza. Abbiamo avuto
delle persone che avevano le idee chiare al momento di stabilire dei criteri di
attuazione. Abbiamo ricevuto molte richieste di nuove fondazioni che ci sono
state presentate da governanti o vescovi, basate sull'esempio della nostra
assistenza.
Tutto ciò ha
permesso all’Ordine di avere una grande espansione sin dagli inizi della
fondazione. Dopo la morte di Giovanni di Dio esisteva un solo ospedale da lui
fondato a Granada (Spagna), ma sessanta anni dopo, l’Ordine era già presente in
undici Paesi, sette in Europa e quattro in America.
Nel mondo
moderno l’Ordine ha dedicato molti sforzi al tema dell’umanizzazione
dell’assistenza, all’attenzione pastorale, alla bioetica, alla formazione,
insegnamento e ricerca, all’approfondimento da parte dei Collaboratori dello
stile di San Giovanni di Dio.
Proprio a ciò
sono stati dedicati, a livello generale, i documenti pubblicati negli ultimi
anni: Umanizzazione; Ospitalità dei Fatebenefratelli verso il 2000; Confratelli
e Collaboratori uniti per servire e promuovere la vita; Giovanni di Dio continua
a vivere nel tempo; la Carta d’Identità dell’Ordine; Il cammino di Ospitalità
secondo lo stile di San Giovanni di Dio.
Si sono tenute
anche molte iniziative a livello provinciale e locale: Regolamenti delle
Istituzioni, Manuali di funzionamento, Comitati Direttivi, Piani strategici,
Riviste, Forum, Masters, Regolamenti Etici, ecc.
Rendiamo
grazie al Signore per quanto è stato dato come Pentecoste alla nostra vita e
che continuerà ad esserci dato nel futuro.
• Espressione della carità di Cristo
La Pentecoste
vissuta da Giovanni di Dio lo portò alla convinzione che la sua vita doveva
essere dedicata, senza riserve, al servizio della carità di Cristo. La serenità
che scaturiva da lui era la forza che lo spingeva ad esercitare la carità con
tutti. Sono stati riportati molti aneddoti sulla sua vita, e tanti suoi
pensieri sono stati raccolti nelle sue Lettere.
Tra gli altri,
ne cito due che abbiamo considerato sempre molto significativi: “Se
considerassimo quanto è grande la misericordia di Dio, non cesseremmo mai di
fare il bene mentre possiamo farlo” (1DS 13), “Abbiate sempre carità , perché
dove non c’è carità, non c’è Dio, anche se Dio è in ogni luogo” (LB 15).
La carità
della Parola e la carità dei fatti devono integrarsi. Noi optiamo per la carità
dei fatti, che però devono essere illuminati dalla carità della Parola, facendo
della nostra vita una pagina evangelica.
Stiamo
attraversando un periodo difficile. Il nostro apostolato ci mette in contatto
con molte situazioni dure in cui le persone devono vivere. Non possiamo
ignorare le sfide che ci pongono di fronte i sistemi sanitari nei diversi
Paesi, difficili da affrontare per coloro che devono preoccuparsi della
gestione e dell’amministrazione. Dobbiamo fare in modo però che le nostre
azioni siamo sempre l’espressione della carità di Cristo, dell’immaginazione,
della ‘fantasia della carità’, come ci aveva detto Giovanni Paolo II nel suo
magistero. Dobbiamo fare in modo che la nostra vita sua una epifania della
carità di Cristo.
Giovanni di Dio è stato definito come il fondatore
dell’ospedale moderno. Nel suo tempo, ebbe la capacità di precorrere le
esigenze e le necessità dell’ospitalità, con uno stile di servizio di qualità
nell’assistenza, tenendo ben presente la centralità della persona, e la dimensione
evangelizzatrice con la carità di Cristo, la visione etica della vita, la
cultura corporativa con i collaboratori, ecc.
Queste
espressioni sono proprie dell’epoca moderna, ma sono cose che a modo suo egli
già mise in pratica all’epoca. Oggi la
sfida che dobbiamo affrontare è avere la capacità di impegnarci come Ordine con
i principi che sono i presupposti per poter stare nella post-modernità con
spirito evangelico, così come afferma la Carta d’Identità dell’Ordine.
4.2.
Responsabilità
e libertà nel nostro essere ospitalità
Nella nostra
vita avviene una crescita biologica, e una crescita del nostro essere
personale.
Nella
costruzione del nostro essere personale hanno un ruolo specifico gli elementi
innati, ma ce ne sono altri che si formano poco a poco per l’influenza
dell’ambiente in cui viviamo e infine ce ne sono altri che promuoviamo in
funzione dei nostri interessi , dei nostri desideri e del nostro lavoro in
funzione dell’ideale di vita che vogliamo arrivare ad incarnare.
Sviluppare il
nostro essere comporta una maturazione della personalità, una crescita nella
nostra dimensione umana e spirituale, giungere all’autonomia personale che
comporta la sequela di Cristo, armonizzare il nostro essere per poter essere,
in seguito, i testimoni di un’azione sanante che Cristo e Giovanni di Dio
realizzarono nel loro tempo e che noi vogliamo realizzare oggi.
La nostra
crescita è un processo alla conquista della nostra libertà di spirito, che ha
come grande compagna di vita la responsabilità, che si discosta dal concetto di
libertinaggio. Qui è importante tenere
conto del principio proposto da Sant’Agostino nelle Confessioni. “Ama e fai ciò
che vuoi”.
Non è sempre
facile riuscire ad incarnare questo binomio. Il vero processo è quello che ci
porta a vivere nella libertà ma con responsabilità. In questo modo potremo
sentirci sereni nella realizzazione della nostra vita, con maturità. Rallegriamoci delle cose buone, assumiamo i
conflitti che dobbiamo cercare di risolvere, nell’ambito del possibile. Viviamo,
aiutiamo a vivere e lasciamo vivere gli altri.
La nostra
consacrazione può essere definita come un cammino di libertà e di
responsabilità. E’ stato definito da qualcuno come un cammino che indebolisce,
che rende infantili, che deteriora. Di fatto, ci sono persone che per non aver
avuto la capacità di realizzare questo processo di crescita, sembrerebbero
convalidare queste affermazioni. Abbiamo però la testimonianza di tante persone
che vivono nella piena interezza la fecondità della loro vita, con libertà e
responsabilità.
Questa
impostazione ci porta ad essere consapevoli del nostro modo di vivere e dei
criteri che lo illuminano. Formando delle comunità, lavorando in gruppi e sotto
la guida dei nostri Superiori, sentiamo che abbiamo lo spazio vitale necessario
alla realizzazione della nostra libertà e della nostra responsabilità.
Molti di noi,
come Confratelli, ci troviamo nell’età adulta, e non sempre possiamo realizzare
certi lavori nell’ospitalità. Rendiamo grazie a Dio per quanto ha significato e
continua a significare la nostra vita. Dobbiamo continuare a seguire l’esempio
di libertà e responsabilità.
Tutti portiamo
avanti il nostro lavoro, ma alcuni di noi sono in piena azione da un punto di
vista operativo. Nei diversi servizi che stiamo realizzando nell’Ordine, siamo
chiamati a viverli come possibilità di essere espressione di responsabilità e
libertà. Abbiamo avuto molto tempo per crescere in questo binomio, per assumere
le esigenze del nostro voto di obbedienza in ciò che significa seguire le
direttive che ci vengono date, o avere la responsabilità di darle. In entrambi
i casi abbiamo dovuto agire con libertà e responsabilità.
C’è poi un
gruppo di Confratelli, che nel mondo occidentale è inferiore di numero ma che è
più grande nelle cosiddette società più giovani, che si trovano nel periodo formativo, nel periodo di integrazione
progressiva nell’istituzione, di maturità della coscienza, e pertanto dei
principi e degli atteggiamenti secondo i quali si muoveranno nel futuro e che
necessitano di una illuminazione, che li porti a un’adeguata crescita personale
per vivere in responsabilità e libertà.
Certe
impostazioni normative sono buone, ma come dice San Paolo, deve esserci la
pedagogia per aiutarci a maturare e a crescere nella libertà di spirito e nella
responsabilità.
La nostra
vocazione ci fa entrare in contatto con persone che vivono in situazioni
drammatiche. Dobbiamo avere l’interezza e la luce necessarie per saper stare
con loro in ogni momento, con comprensione e saggezza, sapendo rispettare i
loro ritmi nelle loro possibilità di crescita, cercando di avvicinarle a Gesù
Cristo.
Questo è un
orientamento che ci serve sempre, specialmente in questo momento in cui
ricordiamo la Pentecoste di San Giovanni di Dio e che vogliamo sia per noi una
possibilità di Pentecoste nella preparazione e nella realizzazione del nostro
prossimo Capitolo Generale.
Dobbiamo
vivere questo periodo con grande spirito di fede, esortando ciascuno di noi e
le nostre comunità alla preghiera, affinché sappiamo realizzare un buon
discernimento, e proiettare in questo preciso momento storico la nostra vita
per il futuro.
Attualmente
stiamo orientando i nostri principi distinguendo due tematiche: la vita dei
Confratelli e la missione.
In quanto alla
missione, riceviamo ammirazione e ci giungono tante proposte per stabilire
nuove presenze e ampliare i servizi già esistenti. Qualcosa accadrà, in noi e
nei nostri collaboratori, che farà in modo che ciò diventi realtà. Bisognerà
vedere.
Relativamente
alla vita dei Confratelli, pensiamo alle nuove vocazioni, all’accompagnamento,
al modo in cui le formiamo, alla capacità di avere in seguito l’adeguata realtà
personale per vivere in libertà e responsabilità, senza abusare della libertà
usando criteri troppo vasti o della responsabilità con criteri troppo rigidi.
Con questo
spirito di libertà e responsabilità, oggi dobbiamo tenere ben presenti, anche
nel nostro discernimento, le esigenze del Carisma e dell’Istituzione.
In alcune
parti del mondo c’è stato un grande sviluppo del Carisma che stiamo portando
avanti con una nuova forma di essere delle fondazioni e inoltre con la
creazione di nuovi servizi.
Abbiamo
percorso molta strada: i risultati sono stati tanti, e i punti deboli, grazie a
Dio, sono stati di meno, ma purtroppo non possiamo smentirli.
La nostra
preparazione al Capitolo e la sua celebrazione dovranno mettere in luce tutto
ciò, e cercare di confermare quanto stiamo facendo oppure, se lo Spirito ci
orienta in altro modo, cercare di delineare nuove linee di azione per il
futuro.
Termino questo
punto rivolgendo un appello a vivere ogni giorno la nostra vocazione. Con
maggiore o minore protagonismo nell’ambito dell’Ordine, in età avanzata o
ancora giovane, in ogni circostanza dobbiamo amare la nostra vocazione,
ringraziare Dio per averci arricchiti con il dono dell’ospitalità e chiedere la
Sua grazia per manifestare che Giovanni di Dio continua a vivere, e a
testimoniare nel nostro mondo il Cristo misericordioso.
Non possiamo
cadere nell’orgoglio, visto che all’inizio abbiamo detto che la Pentecoste di
Giovanni di Dio comporta un cammino di umiltà. Ci obbliga a vivere con
autostima il fatto di far parte dell’Ordine, in questo determinato momento
storico. Allo stesso modo, dobbiamo riconoscere ed apprezzare la testimonianza
di tanti Confratelli che lungo il corso degli anni hanno dedicato generosamente
la propria vita all’ospitalità. Con la fede nella “comunione dei santi”, con
spirito fraterno dobbiamo pregare per coloro che il Signore chiama, per associarli
alla sua Pasqua.
Dobbiamo
vivere con gioia, sentire il Signore e Giovanni di Dio vicini a noi. Dobbiamo
vivere serenamente questo momento storico, che ci offre molte possibilità, ma
anche certi pericoli, lungo il cammino dell’ospitalità, dell’umiltà, della
libertà e della responsabilità. Ci
devono portare a vivere con saggezza il nostro discernimento e a dare, come
fratelli di Giovanni di Dio, la risposta di cui il mondo ha bisogno.
Chiediamo al
Signore che in quest’anno si realizzi in noi questa Pentecoste. Preghiamo
affinché il Capitolo Generale sia il momento adeguato per prendere le decisioni
più opportune e ci porti a vivere con speranza e con successo la realizzazione
dell’ospitalità di San Giovanni di Dio.
5. Celebrazione del LXVI Capitolo Generale
Dalla
celebrazione dell’Incontro dei Superiori Maggiori, alcuni dei quali eletti per
la prima volta ed altri rieletti in occasione dei capitoli provinciali sotto il
titolo “Animare e Governare nell’Ordine”, possiamo affermare che abbiamo dato inizio,
con le sue conclusioni, alla preparazione per il prossimo Capitolo Generale.
Alcune
conclusioni di questo Incontro sono raccolte in un documento che è stato
elaborato dai tre animatori: Fra José Bermejo, Fra Moisés Martín e dalla D.ssa
Alessandra Massei, che già ci proiettavano verso il futuro.
Abbiamo
intrapreso lo studio sulle nuove vocazioni, sulla formazione e integrazione
nell’Ordine del quale, come sapete, è responsabile Fra Luis Aldana con un
gruppo di Confratelli e di Consulenti. Siete già stati informati al riguardo
con la lettera che abbiamo allegato ai questionari sulla formazione.
Dal 7 al 13
novembre 2005, si terrà a Granada il I Congresso dei Giovani Ospedalieri,
confratelli e collaboratori, il cui tema centrale è l’Ospitalità che, oltre
alla sua ricchezza, ci illuminerà sul settore più giovane dell’Ordine per il
nostro futuro.
Abbiamo
previsto di realizzare, all’inizio del 2006, i quattro incontri regionali per
continenti, come tre anni fa, ai quali parteciperà lo stesso numero di
confratelli e collaboratori, sempre con la stessa prospettiva di preparazione
del capitolo.
Le date e i
luoghi previsti sono:
America:
Divinipolis, Brasile, 9-13 gennaio;
Africa: Lomé,
Togo, 23-27 gennaio;
Asia Pacifico:
Damyang, Corea, 20-24 febbraio;
Europa:
Varsavia, Polonia, 3-7 aprile.
Consideriamo
che con questi incontri e la documentazione che sarà prodotta avremo
sufficiente materiale per la preparazione del Capitolo.
Il Capitolo
Generale avrà luogo a Roma, nella Casa di Ospitalità dei PP. Salesiani, in via
della Pisana n° 1080.
Il titolo che
abbiamo scelto nell’ambito del Consiglio Generale, dopo aver presentato varie
alternative, è: “Passione per
l’Ospitalità di San Giovanni di Dio
oggi nel mondo”.
Come animatore abbiamo pensato di nuovo ad
un nostro Collaboratore, il Dr. Álvaro Díaz, colombiano, consulente di CIAL.OH
e di SELARE.
Il Consiglio
Generale ha nominato due Commissioni, una appositamente per la preparazione del
Capitolo, formata dai Confratelli Donatus Forkan come Presidente e Luis M.
Aldana, Fintan Brennan Withmore (Irlanda), Jesús Etayo (Spagna) e dai
collaboratori Alvaro Díaz (Colombia), Salvino Leone (Italia) e Peter Költringer
(Austria).
Abbiamo
nominato un’altra Commissione, che si occuperà dell’aspetto logistico, formata
dai Confratelli Emerich Steigerwald e José Luis Muñoz, e dai collaboratori
Pietro Cacciarelli, Chiara Donati e Klaus Mutschlechner.
6. Conclusione
Termino questa
riflessione che ci apre al discernimento in questo cammino di preghiera e di
riflessione che dobbiamo realizzare per la celebrazione del prossimo Capitolo
Generale.
Iniziando
dall’esperienza di Pentecoste di quest’anno e dall’analisi della Pentecoste che
sperimentò San Giovanni di Dio, desideriamo sia la possibilità di vivere una
nuova esperienza nello Spirito, che apra l’Ordine ad un futuro di speranza.
Gli
avvenimenti che hanno riguardato tanto da vicino la Chiesa, con la morte di
Giovanni Paolo II e l’elezione di Benedetto XVI, ci hanno fatto vivere momenti
di grande religiosità, dubbi, aspettative, scoperta di realtà nuove.
Stiamo
conoscendo la figura del nuovo Papa. Ultimamente ho letto un suo libro in
italiano, dal titolo “La mia vita”. Vorrei terminare questa lettera
presentandovi due suoi pensieri che ci lanciano verso il futuro.
“La sola
garanzia istituzionale non serve a nulla, se non ci sono le persone che la
sostengono per convinzione personale” (Cap. II).
“Il dogma
nella Chiesa non dev’essere sentito
come un vincolo esteriore, ma come la sorgente vitale, che rende
possibili nuove conoscenze” (Cap. VI).
Il nostro
Ordine ha bisogno della forza del carisma dei suoi componenti per creare il
proprio futuro. Il nostro Ordine ha bisogno di persone piene di quella fonte di
vita che rende possibile visioni nuove, nuovi cammini e nuovi orizzonti per
l’ospitalità.
La Pentecoste
di Giovanni di Dio lo portò a vivere un’avventura realmente illuminata. Auspico
che abbiamo la capacità, in questo periodo di preparazione al Capitolo, di
lanciarci in una nuova avventura, illuminati dallo Spirito Santo, per il bene
dell’ospitalità di Giovanni di Dio nella storia, nella Chiesa, nella società.
Uniti sempre
nel nostro Fondatore.